domenica 25 ottobre 2009

.Malinconoia.

Questo post è stato scritto venerdì, ndr.

Nico è partito, da poche ore in effetti. Il volo da Malpensa era alle 14e30, ci siamo salutati stamattina a casa sua intorno alle 10e30, poco prima che partisse per l’aeroporto. Non sono neanche le sei del pomeriggio e mi manca già moltissimo: considerando che ho dormito fino a cinque minuti fa, direi che è grave. Mi sento pure colpevole, sotto un certo punto di vista. Mi sento in colpa, nei suoi confronti e nei miei, provo un profondo senso di disagio. Nei suoi riguardi, perché mi è stato impossibile salutarlo come volevo e come meritava. Nei miei, perché sono irresponsabile verso me stessa e verso ciò che vorrei fare veramente.
Lo chiamo ieri sera per avere indicazioni e raggiungerlo alla festa che lui e la sua ex ragazza hanno organizzato prima di partire. Essì, parte anche lei: i biglietti, in fondo, erano due. Sono in ritardo, come al solito, ma chi mi conosce ormai ci è abituato.
- Vale, oh, dimmi dove sei!
- Parto adesso da casa… ridammi un po’ le indicazioni…
Blablabla. Io e la geografia non andiamo proprio a braccetto, per fortuna è una strada senza troppe deviazioni.

- Capito? Comunque quando arrivi in zona chiamami e fai squillare il cellulare tanto, perché c’è un gran casino, un sacco di gente e un sacco da bere! Muoviti che ti aspetto!
Sulle parole casino bere e gente comincio a sentir montare una leggera preoccupazione. La ignoro.
Viene a recuperarmi ad uno stop, correndo, con in mano una tazza di Pluto piena di birra e gridando come un pazzo. La tazza di Pluto sarà una costante per tutta la sera: non la mollerà mai e sarà sempre, inspiegabilmente, miracolosamente piena. Tranne che alla fine.
- Ma sei già ubriaco?
- No, solo un po’ allegro, aspettavo te per darci dentro.
Gli uomini sono i migliori compagni di bevute, lo dico sempre.
Ricevo dei complimenti perché ho avuto il coraggio di venire da sola: la metà delle persone presenti per lui sono illustri sconosciuti accompagnati da illustrissime comparse.
Mi aspettavo una cosina tranquilla, quasi intima, invece mi ritrovo in un Night improvvisato: “musica” altissima, strobo, insalatiere in ceramica del servizio buono traboccanti di cocktail, cibo in ogni angolo e soprattutto tantissime persone. Fino a una certa ora, la casa è un gran via vai di gente che entra e gente che esce, come un brulicare di formiche impazzite.
Dopo il terzo giro, ritrovo anche un mio compagno di scuola, delle elementari! Adesso è praticamente un uomo, mi racconta di sé, ha la barba e mi presenta con orgoglio la sua ragazza. Non ci posso pensare. Cerca persino di rintracciare un’altra nostra vecchia conoscenza dei tempi e la serata rischia per un attimo di trasformarsi in un’allegra rimpatriata. Cosa che, fortunatamente, non accade: una febbre da cavallo costringe il terzo uomo e rimanere in panchina.
- Valentina, perché il tuo bicchiere è vuoto?! Perché non stai bevendo?!
Non so quante volte Nicola ha ripetuto questa frase, ma sono felice che l’abbia fatto: la stanza è piena di fumo, di rumore assordante e ragazzini statici: un’atmosfera sopportabile solo da ubriachi. Ovviamente, ieri sera non ho cenato, quindi l’ebbrezza mi ha raggiunta piuttosto in fretta. Alla fine, non sono venuta da sola.
Con una rapidità che può aver imparato solo sul lavoro, Nico mi strappa di mano i bicchieri vuoti e riesce a rinfilarci dentro bicchieri già pieni. Mi ritrovo a importunare con le mie chiacchiere diverse persone, mi iscrivo agli scout, in cambusa per l’esattezza, e prometto di rintracciare tutti quanti su librinfaccia. Alla fine di ogni frase prima e quasi alla fine di ogni parola poi, ci tengo però a sottolineare che domani non mi ricorderò un cazzo di quello che ho detto.
- Oh, Nico, ma se fra sei mesi ti raggiungo, tu mi trovi lavoro?
- Certo! – esclama mentre mi riempie e mi allunga l’ennesimo bicchiere – Che lavoro vuoi fare?
- Ahahah! Perché, fa differenza? Oppure, se non vengo io, quando torni partiamo insieme, dai!
- Ok, ci sto.
Le persone iniziano a scemare, nel senso che cominciano ad andare via, che scemi erano già. Meno restiamo, più mi rendo conto che Nico parte: baci, abbracci, lacrime, regalini, paroline sottovoce, promesse.
Un altro bicchiere, ma la stretta al cuore non mi passa. Lo abbraccio anch’io, ci stringiamo forte: i sentimenti degli ubriachi sono esattamente come i sentimenti dovrebbero sempre essere. Limpidi. I sentimenti sono l’unica cosa limpida che possiede un ubriaco.
- Tu però resti ancora un po’, vero? - mi sussurra a mezza voce.
- Certo… - altrimenti chi porta a casa te e chi porta a casa me, penso.
- E allora che cazzo mi abbracci? Vieni, che apriamo una bottiglia di Martini.
Altro giro, altro regalo: Martini e soda, mezza bottiglia e forse anche di più. Ormai mi stanno simpatiche anche le calamite attaccate sul frigorifero.
- Ti rendi conto che sto passando tutta la serata con te, Vale? Ti voglio troppo bene!
- Vaffanculo, la verità è che non conosci nessuno e io ti faccio pena perché sono l’unica che è venuta da sola!
- Vaffanculo tu, questi che son rimasti li conosco tutti, sono anche amici miei. La verità è che voglio stare qui.
Sorridiamo e ci dividiamo il fondo di un bicchiere. Laura, la sua ex ragazza, irrintracciabile per quasi tutta la sera, ci passa davanti rapidissima e silenziosa. Nico trattiene il respiro, poi mi abbraccia e si dispera nel mio orecchio:
- Sono ancora innamorato di lei.
- Lo so, lo so…
Spero solo che domani non si ricordi di questa confidenza.
Il tempo comincia a perdere la sua reale consistenza, gli attimi si dilatano e si condensano a velocità immotivate. Non perdo il controllo, ma ciò che resta della serata viene vissuto con ingordigia.
I deejay finalmente se ne vanno, la consolle rimane abbandonata in un angolo. Restiamo la bellezza di otto o dieci persone. Poi, inevitabilmente, è ora di andare anche per noi. Usciamo dal giardino del villone stretti in un abbraccio, mano nella mano, barcollando e ridendo. “Ti porto a casa io”, mi dice “segui la mia macchina”. In qualche modo riesco ad arrivare nel parcheggio di casa sua, anche se più volte rischio di tamponarlo.
- Adesso cosa fai?
- Mi sa che dormo in macchina, Nico: troppo pericoloso arrivare fino a casa.
- Ma che discorso del cazzo: sei qui, vieni su che dormi da me.
- No, ma è tardi, poi tua madre… E poi mica è la prima volta che dormo in macchina.
- Ma va: a mia madre piaci, dormi nel mio letto e domattina le spiego la situazione. Dai, vieni su.
Ok. Non si discute un’offerta così.
Qualunque cosa voi possiate pensare, non è accaduta. Ci siamo ritrovati in mutande e canottiera nel letto, ‘mbriachi e abbracciati a ridere come due cretini. Fine.
- Sono contento che sei rimasta.
- Anche io.
- Ma la smetti di ridere?
- No.
- Madonna, Vale, sei gelata!
- Sono una donna: ho la circolazione alla zuava!
- Ma… hai tenuto su i calzettoni?! Cioè, la cosa più antierotica del mondo!
- Vabbé, ma mica che dobbiamo trombare io e te?
- No, è vero. Ma la smetti di ridere?
- No! Ci ricorderemo di questa sera per tutta la vita, lo sai?
- Sì.
- Oh, comunque sei il primo uomo con cui dormo da quando ho rotto la convivenza, sappilo!
- L’ultima qui, invece, è stata Laura.
- Mmm. Dimmi che hai cambiato le lenzuola…
- Sì!
- Ok. Quindi, al massimo una pugnetta di rito e non di più?
- Be’… sì.
- Nella tua metà, vero?
- Ahahah, sì Vale!
- Ghghgh…
- Ah, quanto mi mancava!
- Cosa?
- Il calore di una donna. Lo sento.
- Ahahah! Lo senti anche se sono gelata?
- Lo sento in te.
Pom: secco. Si è addormentato di schianto. Sono rimasta lì ad ascoltare il suo respiro tranquillo praticamente per tutta la notte. Che sono insonne si sa, ma quando bevo tanto vale abbandonare le poche speranze di riposo che posso nutrire in altre situazioni: quando bevo non dormo mai.
Così sono stata lì e sentire la mia mente piena di riflessioni e il mio stomaco pieno di alcool, salame e patatine fritte, rivoltarsi più e più volte senza trovare una soluzione, come se avessi nella pancia un oceano putrido solcato senza pace dai miei pensieri più inquieti.
Quando ci siamo alzati, sua madre era già andata al lavoro. Mentre lui controllava la lista di cose da mettere in valigia, io preparavo il caffè. Mi sembrava davvero surreale quella situazione. Nico partiva e stava via un anno, forse di più. E io non riuscivo a formulare pensieri concreti.
Prepariamo la valigia e ci ritroviamo di fronte alle tazze piene di caffè: ne mando giù un sorso e capisco subito che non mi è assolutamente possibile berlo.
- Ma davvero tu verresti, Vale?
- Be’, se potessi sì…
- E allora pottilo!
Vorrei davvero che fosse così semplice. Faccio un rutto, mi convinco che sia merito del caffè: penso che quello che non ho già pisciato fuori o assorbito, magari riesco ancora a digerirlo. Un altro sorso, allontano definitivamente la tazza. Ormai sono consapevole di vomitare prima del mio rientro a casa, anche se ancora non so quando.
- E se invece partiamo quando torno, dove vuoi andare?
- Mah… restiamo vicino, diciamo in Europa.
- Ma l’Europa l’ho già vista! – eh, mo sta a vedere che il mondo è troppo piccolo – Mi mancano solo i balcani, i paesi dell’est, l’estremo nord e il Portogallo.
- Opterei per il Portogallo!
- Ma ci vuoi andare in macchina? Ci costa un occhio!
- E se faccio montare il GPL?
- Mmm, però poi non possiamo neanche dormirci dentro…
- Vabbé, troveremo una soluzione alternativa.
- Ma ti porteresti il cane?
- Ovvio!
- Madonna Vale!
- Madonna che?
Ovviamente, cercavo di essere scoraggiante. Impossibile spegnere un entusiasmo come il suo. Mi ha strappato qualche promessa, che mi toccherà mantenere.
Scendiamo nel parcheggio: alla luce del sole si rende conto delle condizioni in cui versa la mia macchina. Mi chiede se mi serve qualcosa, magari un prestito, ma io non voglio soldi dagli amici e lui lo sa.
Ci salutiamo, lo abbraccio e il mio stomaco si accartoccia definitivamente: mi allontano di qualche passo e, come ai tempi d’oro della mia adolescenza punk, vomito tutto quello che posso vomitare. Quasi anche i miei stessi denti.
Con un coraggio che non gli avrei attribuito, nonostante tutto, mi abbraccia di nuovo e mi dà un bacio sulla guancia. Non mi riesce di salutarlo. Vorrei dirgli qualcosa di importante, di serio, ma non mi viene niente. Sdrammatizzo un po’, dico qualche stronzata di rito. Poi confesso che non sono in grado di dirgli arrivederci.
- Allora scrivilo – mi dice semplicemente.
Mentre mi allontano con la macchina, lo vedo sorridermi e salutarmi nel riflesso dello specchietto. Lo aspettano trenta ore di viaggio, due scali e un’avventura nuova.

“Non sono capace di salutare le persone che partono, la trovo una cosa contro natura. Soprattutto quando la persona che parte rimane con me perché presente nel mio cuore. Fa buon viaggio e accumula esperienze da raccontarmi quando torni!”


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