sabato 31 ottobre 2009

.Avanzo.

Un paio di anni fa, mi hanno chiesto quale fosse la mia parola preferita, per suono e significato. Non ho saputo rispondere. La persona che me l'ha chiesto è arrivata alla sua conclusione dopo anni e anni di accurata analisi del vocabolario e si sentiva realizzata. La mia ricerca, credo sia finita oggi: mi sa che l'ho trovata anch'io, la mia parola.
Avanzo o avanzi, poco cambia, ma è questa. E' una parola in cui ho incocciato spesso, anche per vie traverse, nell'arco della mia vita e anche delle mie giornate.
Nella mia famiglia, ad esempio, si conservava tutto quello che avanzava a tavola che domani dobbiamo mangiare un'altra volta, mica si butta via la roba ancora buona, che questa qui è tutta roba pagata, eh, mica che i soldi crescono sugli alberi in questa casa e poi c'è gente che chissà cosa darebbe per avere quello che noi buttiamo via. E così ho imparato ad essere la maga dello svuotafrigo: i miei cianfrugli d'avanzi sono roba da leccarsi i baffi, gli amici mi invitano a cena così gli ripulisco il frigo e cucino senza che debbano uscire a fare la spesa e non esiste che io faccia spreco di quel poco che riesco a comprare.
Oppure tutto quello che amici e parenti buttavano via perchè inutilizzato, io lo recuperavo a tipo rigattiere, lo ripulivo, lo sistemavo e lo conservavo. Tipo: quando ho traslocato non mi mancava niente, nè a livello di elettrodomestici nè a livello di suppellettili. Avevo tutto e a costo zero. Fantastico.
Fino a poco tempo fa, quando ancora si poteva portare via qualcosa, ogni tanto mi facevo un giro in discarica e non avete idea di quante cose utili, di quanti avanzi ancora validi ho recuperato gratis: giradischi, radio, televisori, videoregistratori (essì, io sono una fervente aficionado delle videocassette) una volta anche un bel mobile, tutto perfetto e tutto funzionante. Avanzi, cose venute a noia a qualcuno, ma non cose inutili.
Persino alcuni degli uomini che ho amato venivano considerati avanzi dalla società, solo perchè avevano uno stile di vita particolare o diverso da quello della maggioranza.
La seconda volta che ho fatto la seconda superiore, c'era stato un reimpasto, un confluire di alunni bocciati di tutte le altre sezioni nella stessa classe: anche lì, tutti avanzi. Nessuno si preoccupava troppo per noi, scarto di una fetta di società che non ci voleva proprio: il futuro era per gli altri, noi potevamo tranquillamente arrancare, tanto non ci saremmo salvati nemmeno se fosse sceso il Padreterno a farci una grazia. Lo scarto viene sempre sottovalutato. Grave errore.
Per me, tutto ciò che avanza è positivo e va conservato e gustato a tempo debito. Un po' come quando mangi una torta e alla fine non puoi resistere alla tentazione di raccogliere le briciole che restano con la punta delle dita. Ed è lì, in quel momento, che gusti davvero. E' un piacere sottile che non a tutti è dato di provare e capire.
Con tutto il predicare che fanno le suore sulle missioni e sui bambini che muoiono di fame e sulle offerte che bisognerebbe proprio fare per tenere la coscienza in ordine, non avete idea di quanto cibo io sia costretta a buttare via ogni giorno. Uno spreco che ha dell'insensato davvero. Così, ho deciso da qualche mese di fare la mia parte: mangio gli avanzi. Quando nessuno se ne accorge, se qualcosa è ancora commestibile, prendo, incarto e porto a casa. E mangio bene, checcazzo! Tanto mi trattengono un buono pasto al giorno dallo stipendio, quei rabbini! Tanto vale che, al posto di un panino, mi sparo l'arrosto o la verdura grigliata o la pasta allo scoglio. No?
Gli avanzi degli altri sono una buona cosa: si può sempre sfruttare il potenziale che la maggior parte delle persone non vede. E' una cosa che dà molta soddisfazione, ve l'assicuro.
Tutto ciò che viene rifiutato e rinnegato, è per me fonte di curiosità e interesse sconfinati. Sì, trovo decisamente gli avanzi stimolanti.
- Bella roba che ti fai vedere a parlare col giardiniere: non lo sai che quello lì è un avanzo di galera?
Da quando mi hanno detto questa cosa sul lavoro, non ci crederete, l'ho preso in simpatia. Il giardiniere che lavora nella stessa struttura dove lavoro io ha trentatre anni, una macchina vecchia e scassata e un sacco di casini. Sfoggia con disinvoltura tatuaggi in ogni dove: le braccia e il torace ne sono interamente ricoperti e ne ha diversi anche sulla scatola cranica, perfettamente rasata. Ha sempre un'aria truce alternata a un'espressione di riserva, incazzata nera. Lavora poco, si imbosca volentieri, risponde a tutti con una presa per il culo. Qualche anno fa ha messo incinta una ragazzina, ma la storia è finita ancora prima che lei partorisse. E' dichiaratamente uno skin head. In pratica, non dovrebbe starmi nemmeno simpatico.
Eppure è l'unico che, da quando lavoro lì, si ferma a chiedermi come sto, fa due chiacchiere da persona normale, scherza e mi sorride. Senza un secondo fine. L'unico. Senza che io abbia mai fatto il primo passo o sia mai stata particolarmente gentile o disponibile. E se qualcuno sta pensando che sia irresistibilmente attratto dalle mie tette, si sbaglia perchè vado a lavorare praticamente in tuta.
La verità è che, quando Vincenzo parla con me, è una persona normale. L'avanzo di galera diventa rosso, ha uno sguardo tenero quando affronta certi argomenti e mi cede l'ultimo posto a sedere rimasto libero alle riunioni obbligatorie della 626. Mi fa qualche carezza, se capita, mi tira su il morale con qualche battuta e si diverte a scherzare con me.
C'è più umanità in un avanzo che in un sorriso tirato a lucido da una fin troppo allenata ipocrisia.
Una volta che stava sistemando le aiuole sotto il sole, questa primavera, gli ho chiesto se per l'esasperazione avrebbe dato fuoco alle piantine che avanzavano.
- Ma no dai, proprio fuoco no! Se non altro perchè con il fumo mi beccano subito!
- E allora che ne fai?
Ha fatto una pausa, accompagnata da un sorriso misterioso:
- Poi te lo faccio sapere... - mi ha liquidata infine.
Quando sono uscita a fine turno, mi sono ritrovata tre vasetti di viole sul muso della macchina. Un bigliettino scritto male diceva: "Avanzavano, mi spiaceva dargli fuoco! Vinci".
Sono tornata a casa con la piacevole sensazione di aver guadagnato qualcosa di più di qualche semplice fiore colorato.
Gli avanzi possono anche sorprendere, a volte.
- Bella roba che ti fai vedere a parlare col giardiniere: non lo sai che quello lì è un avanzo di galera?
Sbatto gli occhi, non rispondo, sorrido e me ne vado a passo spedito, lasciando al palo la collega stronza che, credendo di mettere in mostra la propria materna generosità, non fa altro che sfoggiare la propria triste, banale limitatezza.
Resta, resta lì pure perplessa a non capire quanto sia piccolo e miserabile il tuo povero mondo. Io vado avanti per la mia strada, tiro dritto e faccio ciò che ho sempre fatto da quando sono nata: passo dopo passo, mi lascio tutto l'inutile alle spalle, mi riparo dalla mediocrità, faccio di testa mia e avanzo.


martedì 27 ottobre 2009

.La perla di saggezza 7.


Non tutto ciò che si mostra è.
Non tutto ciò che è si mostra.


.Alexander Lowen.

La strada
si scopre soltanto percorrendola.
Guai
a rimanere bloccati
di fronte ad un crocicchio di vie
e non decidersi mai
a tentarne una.
La rivelazione della strada
avviene lungo la strada.
Non prima.
La strada giusta
la si scopre soltanto dopo che si è deciso
coraggiosamente
di uscire all'aperto e di partire in esplorazione.
Certo
si corrono dei rischi.
Ma il rischio maggiore
è quello di non correre rischi.
E quando avremo percorso un bel tratto
ci volteremo indietro,
ma solo per un attimo
per valutare il tragitto, gli ostacoli superati,
le cadute, le forze rimaste.
Scopriremo di avere un panorama di fronte a noi,
ma ci accorgeremo che solo proseguendo il cammino
potremo giungere alla meta
ancora nascosta ai nostri occhi.

lunedì 26 ottobre 2009

.La perla di saggezza 6.


In fondo, siamo giovani finchè non muoriamo vecchi.


domenica 25 ottobre 2009

.Entropia.

Ho deciso: mi metto di impegno, sistemo tutto e parto anch'io. Conto di riuscire a farlo entro i primi sei mesi dell'anno nuovo.
Domani ho un colloquio per iniziare un secondo lavoro. Il cane rimarrebbe parcheggiato dai miei, il gatto in eredità temporanea a chi mi subaffitta l'appartamento. Un piccolo finanziamento, sistemo due cose e poi, dopo aver fatto tutto per bene, mi prendo un'aspettativa di sei mesi dal lavoro e vado. Tre mesi in Nuova Zelanda e tre mesi in India: Varanasi, sto arrivando! Mother Ganga will bless me!
Non posso più aspettare, ormai l'ho capito: è una vita che la meno con sto fatto di partire, mi tocca farlo ora, al più presto, o mai più!
In queste ore, ho avuto un attacco di entropia inarginabile. L'entropia è quella cosa terribile e meravigliosa per cui, quando ti esce troppo dentifricio dal tubetto, non potrai mai più riuscire a rimetterlo dentro. In pratica: quando una cosa succede, non puoi più fare finta di niente. E' mutato qualcosa in me: la necessità di partire è diventata desiderio e un desiderio è decisamente più inarrestabile rispetto a un bisogno da soddisfare. O anche viceversa, ma vabbè, mi son spiegata.
Ci sono molte cose da far collimare, dovrò trovare il giusto pragmatismo eccetera eccetera, ma atterrerò sul morbido perchè ho un contatto fidato che potrà accogliermi e guidarmi una volta arrivata a destinazione.
E' bello avere finalmente una prospettiva rosea e concreta per il futuro.


.Malinconoia.

Questo post è stato scritto venerdì, ndr.

Nico è partito, da poche ore in effetti. Il volo da Malpensa era alle 14e30, ci siamo salutati stamattina a casa sua intorno alle 10e30, poco prima che partisse per l’aeroporto. Non sono neanche le sei del pomeriggio e mi manca già moltissimo: considerando che ho dormito fino a cinque minuti fa, direi che è grave. Mi sento pure colpevole, sotto un certo punto di vista. Mi sento in colpa, nei suoi confronti e nei miei, provo un profondo senso di disagio. Nei suoi riguardi, perché mi è stato impossibile salutarlo come volevo e come meritava. Nei miei, perché sono irresponsabile verso me stessa e verso ciò che vorrei fare veramente.
Lo chiamo ieri sera per avere indicazioni e raggiungerlo alla festa che lui e la sua ex ragazza hanno organizzato prima di partire. Essì, parte anche lei: i biglietti, in fondo, erano due. Sono in ritardo, come al solito, ma chi mi conosce ormai ci è abituato.
- Vale, oh, dimmi dove sei!
- Parto adesso da casa… ridammi un po’ le indicazioni…
Blablabla. Io e la geografia non andiamo proprio a braccetto, per fortuna è una strada senza troppe deviazioni.

- Capito? Comunque quando arrivi in zona chiamami e fai squillare il cellulare tanto, perché c’è un gran casino, un sacco di gente e un sacco da bere! Muoviti che ti aspetto!
Sulle parole casino bere e gente comincio a sentir montare una leggera preoccupazione. La ignoro.
Viene a recuperarmi ad uno stop, correndo, con in mano una tazza di Pluto piena di birra e gridando come un pazzo. La tazza di Pluto sarà una costante per tutta la sera: non la mollerà mai e sarà sempre, inspiegabilmente, miracolosamente piena. Tranne che alla fine.
- Ma sei già ubriaco?
- No, solo un po’ allegro, aspettavo te per darci dentro.
Gli uomini sono i migliori compagni di bevute, lo dico sempre.
Ricevo dei complimenti perché ho avuto il coraggio di venire da sola: la metà delle persone presenti per lui sono illustri sconosciuti accompagnati da illustrissime comparse.
Mi aspettavo una cosina tranquilla, quasi intima, invece mi ritrovo in un Night improvvisato: “musica” altissima, strobo, insalatiere in ceramica del servizio buono traboccanti di cocktail, cibo in ogni angolo e soprattutto tantissime persone. Fino a una certa ora, la casa è un gran via vai di gente che entra e gente che esce, come un brulicare di formiche impazzite.
Dopo il terzo giro, ritrovo anche un mio compagno di scuola, delle elementari! Adesso è praticamente un uomo, mi racconta di sé, ha la barba e mi presenta con orgoglio la sua ragazza. Non ci posso pensare. Cerca persino di rintracciare un’altra nostra vecchia conoscenza dei tempi e la serata rischia per un attimo di trasformarsi in un’allegra rimpatriata. Cosa che, fortunatamente, non accade: una febbre da cavallo costringe il terzo uomo e rimanere in panchina.
- Valentina, perché il tuo bicchiere è vuoto?! Perché non stai bevendo?!
Non so quante volte Nicola ha ripetuto questa frase, ma sono felice che l’abbia fatto: la stanza è piena di fumo, di rumore assordante e ragazzini statici: un’atmosfera sopportabile solo da ubriachi. Ovviamente, ieri sera non ho cenato, quindi l’ebbrezza mi ha raggiunta piuttosto in fretta. Alla fine, non sono venuta da sola.
Con una rapidità che può aver imparato solo sul lavoro, Nico mi strappa di mano i bicchieri vuoti e riesce a rinfilarci dentro bicchieri già pieni. Mi ritrovo a importunare con le mie chiacchiere diverse persone, mi iscrivo agli scout, in cambusa per l’esattezza, e prometto di rintracciare tutti quanti su librinfaccia. Alla fine di ogni frase prima e quasi alla fine di ogni parola poi, ci tengo però a sottolineare che domani non mi ricorderò un cazzo di quello che ho detto.
- Oh, Nico, ma se fra sei mesi ti raggiungo, tu mi trovi lavoro?
- Certo! – esclama mentre mi riempie e mi allunga l’ennesimo bicchiere – Che lavoro vuoi fare?
- Ahahah! Perché, fa differenza? Oppure, se non vengo io, quando torni partiamo insieme, dai!
- Ok, ci sto.
Le persone iniziano a scemare, nel senso che cominciano ad andare via, che scemi erano già. Meno restiamo, più mi rendo conto che Nico parte: baci, abbracci, lacrime, regalini, paroline sottovoce, promesse.
Un altro bicchiere, ma la stretta al cuore non mi passa. Lo abbraccio anch’io, ci stringiamo forte: i sentimenti degli ubriachi sono esattamente come i sentimenti dovrebbero sempre essere. Limpidi. I sentimenti sono l’unica cosa limpida che possiede un ubriaco.
- Tu però resti ancora un po’, vero? - mi sussurra a mezza voce.
- Certo… - altrimenti chi porta a casa te e chi porta a casa me, penso.
- E allora che cazzo mi abbracci? Vieni, che apriamo una bottiglia di Martini.
Altro giro, altro regalo: Martini e soda, mezza bottiglia e forse anche di più. Ormai mi stanno simpatiche anche le calamite attaccate sul frigorifero.
- Ti rendi conto che sto passando tutta la serata con te, Vale? Ti voglio troppo bene!
- Vaffanculo, la verità è che non conosci nessuno e io ti faccio pena perché sono l’unica che è venuta da sola!
- Vaffanculo tu, questi che son rimasti li conosco tutti, sono anche amici miei. La verità è che voglio stare qui.
Sorridiamo e ci dividiamo il fondo di un bicchiere. Laura, la sua ex ragazza, irrintracciabile per quasi tutta la sera, ci passa davanti rapidissima e silenziosa. Nico trattiene il respiro, poi mi abbraccia e si dispera nel mio orecchio:
- Sono ancora innamorato di lei.
- Lo so, lo so…
Spero solo che domani non si ricordi di questa confidenza.
Il tempo comincia a perdere la sua reale consistenza, gli attimi si dilatano e si condensano a velocità immotivate. Non perdo il controllo, ma ciò che resta della serata viene vissuto con ingordigia.
I deejay finalmente se ne vanno, la consolle rimane abbandonata in un angolo. Restiamo la bellezza di otto o dieci persone. Poi, inevitabilmente, è ora di andare anche per noi. Usciamo dal giardino del villone stretti in un abbraccio, mano nella mano, barcollando e ridendo. “Ti porto a casa io”, mi dice “segui la mia macchina”. In qualche modo riesco ad arrivare nel parcheggio di casa sua, anche se più volte rischio di tamponarlo.
- Adesso cosa fai?
- Mi sa che dormo in macchina, Nico: troppo pericoloso arrivare fino a casa.
- Ma che discorso del cazzo: sei qui, vieni su che dormi da me.
- No, ma è tardi, poi tua madre… E poi mica è la prima volta che dormo in macchina.
- Ma va: a mia madre piaci, dormi nel mio letto e domattina le spiego la situazione. Dai, vieni su.
Ok. Non si discute un’offerta così.
Qualunque cosa voi possiate pensare, non è accaduta. Ci siamo ritrovati in mutande e canottiera nel letto, ‘mbriachi e abbracciati a ridere come due cretini. Fine.
- Sono contento che sei rimasta.
- Anche io.
- Ma la smetti di ridere?
- No.
- Madonna, Vale, sei gelata!
- Sono una donna: ho la circolazione alla zuava!
- Ma… hai tenuto su i calzettoni?! Cioè, la cosa più antierotica del mondo!
- Vabbé, ma mica che dobbiamo trombare io e te?
- No, è vero. Ma la smetti di ridere?
- No! Ci ricorderemo di questa sera per tutta la vita, lo sai?
- Sì.
- Oh, comunque sei il primo uomo con cui dormo da quando ho rotto la convivenza, sappilo!
- L’ultima qui, invece, è stata Laura.
- Mmm. Dimmi che hai cambiato le lenzuola…
- Sì!
- Ok. Quindi, al massimo una pugnetta di rito e non di più?
- Be’… sì.
- Nella tua metà, vero?
- Ahahah, sì Vale!
- Ghghgh…
- Ah, quanto mi mancava!
- Cosa?
- Il calore di una donna. Lo sento.
- Ahahah! Lo senti anche se sono gelata?
- Lo sento in te.
Pom: secco. Si è addormentato di schianto. Sono rimasta lì ad ascoltare il suo respiro tranquillo praticamente per tutta la notte. Che sono insonne si sa, ma quando bevo tanto vale abbandonare le poche speranze di riposo che posso nutrire in altre situazioni: quando bevo non dormo mai.
Così sono stata lì e sentire la mia mente piena di riflessioni e il mio stomaco pieno di alcool, salame e patatine fritte, rivoltarsi più e più volte senza trovare una soluzione, come se avessi nella pancia un oceano putrido solcato senza pace dai miei pensieri più inquieti.
Quando ci siamo alzati, sua madre era già andata al lavoro. Mentre lui controllava la lista di cose da mettere in valigia, io preparavo il caffè. Mi sembrava davvero surreale quella situazione. Nico partiva e stava via un anno, forse di più. E io non riuscivo a formulare pensieri concreti.
Prepariamo la valigia e ci ritroviamo di fronte alle tazze piene di caffè: ne mando giù un sorso e capisco subito che non mi è assolutamente possibile berlo.
- Ma davvero tu verresti, Vale?
- Be’, se potessi sì…
- E allora pottilo!
Vorrei davvero che fosse così semplice. Faccio un rutto, mi convinco che sia merito del caffè: penso che quello che non ho già pisciato fuori o assorbito, magari riesco ancora a digerirlo. Un altro sorso, allontano definitivamente la tazza. Ormai sono consapevole di vomitare prima del mio rientro a casa, anche se ancora non so quando.
- E se invece partiamo quando torno, dove vuoi andare?
- Mah… restiamo vicino, diciamo in Europa.
- Ma l’Europa l’ho già vista! – eh, mo sta a vedere che il mondo è troppo piccolo – Mi mancano solo i balcani, i paesi dell’est, l’estremo nord e il Portogallo.
- Opterei per il Portogallo!
- Ma ci vuoi andare in macchina? Ci costa un occhio!
- E se faccio montare il GPL?
- Mmm, però poi non possiamo neanche dormirci dentro…
- Vabbé, troveremo una soluzione alternativa.
- Ma ti porteresti il cane?
- Ovvio!
- Madonna Vale!
- Madonna che?
Ovviamente, cercavo di essere scoraggiante. Impossibile spegnere un entusiasmo come il suo. Mi ha strappato qualche promessa, che mi toccherà mantenere.
Scendiamo nel parcheggio: alla luce del sole si rende conto delle condizioni in cui versa la mia macchina. Mi chiede se mi serve qualcosa, magari un prestito, ma io non voglio soldi dagli amici e lui lo sa.
Ci salutiamo, lo abbraccio e il mio stomaco si accartoccia definitivamente: mi allontano di qualche passo e, come ai tempi d’oro della mia adolescenza punk, vomito tutto quello che posso vomitare. Quasi anche i miei stessi denti.
Con un coraggio che non gli avrei attribuito, nonostante tutto, mi abbraccia di nuovo e mi dà un bacio sulla guancia. Non mi riesce di salutarlo. Vorrei dirgli qualcosa di importante, di serio, ma non mi viene niente. Sdrammatizzo un po’, dico qualche stronzata di rito. Poi confesso che non sono in grado di dirgli arrivederci.
- Allora scrivilo – mi dice semplicemente.
Mentre mi allontano con la macchina, lo vedo sorridermi e salutarmi nel riflesso dello specchietto. Lo aspettano trenta ore di viaggio, due scali e un’avventura nuova.

“Non sono capace di salutare le persone che partono, la trovo una cosa contro natura. Soprattutto quando la persona che parte rimane con me perché presente nel mio cuore. Fa buon viaggio e accumula esperienze da raccontarmi quando torni!”


domenica 18 ottobre 2009

.Debito pubblico e vita privata.

Lo so, mi rendo conto che il titolo possa farvi pensare subito a Berlusconi, ma in realtà lui non c'entra niente. Non in questo caso almeno.
No, ma dico sul serio. Qui si parla di me.
No, ma davvero lui non c'entra, eh.
Il fatto è che sto seriamente pensando di affrontare l'ipotesi di chiedere alla mia banca un finanziamento. Intendo un altro finanziamento. Non me lo daranno mai, ne sono consapevole.
Ieri stavo giusto pensando a cosa potrei dire per convincere il direttore della mia filiale:
- Sa, la cifra non è poi così alta... sì, lo so, non ho beni immobili (e neanche mobili) ma in fondo sono molto giovane... magari se puntassimo su una scadenza lunga, ecco, con una rata più bassa... la prego, mi faccia questo prestito, investa su di me! E se non mantengo fede al mio impegno, mi investa!
Sono sull'orlo della disperazione, come si può ben notare. Ho seminato più puffi in giro io che Gargamella nella sua intera carriera di antagonista. Ho numerosissime orde di creditori che pregano per me, affinchè la salute mi assista almeno fino all'assolvimento dei miei debiti. Il che mi fa ben sperare. Con tutti i ceri che ho in chiesa a nome mio, dovrebbero come minimo versarmi l'otto per mille...
Il mio debito è pubblico, come accennavo nel titolo, perchè ormai praticamente tutti sanno che sono indebitata. E la mia vita è privata perchè troppi debiti e troppe spese non mi consentono di averne una.
Nonostante tutti i miei sforzi nel cercare un secondo lavoro, ancora niente. Tanti progetti, tanta voglia di fare, ma zero possibilità. Non mi ricordo più chi diceva che in Italia oggi a qualunque età si è già fuori mercato.
- ...oppure fatti mantenere: ne trovi uno e ti fai pagare tutto.
Eeeeeeeehhh???
- ...vabbè, poi al massimo lo molli.
Giuro, me l'hanno detto. Così, come io potrei dire: scusa, ma se hai la tosse, prenditi lo sciroppo. Se poi il flacone scade, al massimo lo butti via!
Il fatto è che io non ne sono davvero capace. Non di prendere lo sciroppo, intendo di farmi mantenere.
- Sì, ma un uomo che porta a casa il pane, è sempre una cosa positiva.
Ma scusate, come funziona sta cosa? Ora, questo me lo diceva come se avesse senso. Io ero in bilico fra l'inorridito e il perplesso.
- Guarda, non sono proprio il tipo che si fa mantenere. - gli ho risposto - Troppo orgogliosa e troppo diffidente: io preferisco essere autosufficiente e se un uomo ci deve essere, che ci sia per altri motivi. Non sono una mantide.
Non so se ha davvero capito. Ha insistito che fosse una cosa naturale e che con quello giusto avrei anche potuto mettermi a fare la casalinga a tempo pieno.
Eeeeeeehhh???
Sono davvero io quella strana? Qual è questa folle alchimia fra uomini, soldi e donne che io non capisco davvero? Perchè è così scontato che un uomo debba mantenere una donna? Qual è il tacito accordo? Perchè è così naturale e così dovuto agli occhi di molti? Perchè a me suona come una cosa abominevole?
Uomini considerati come bancomat. Donne considerate come prostitute salariate. Quindi tutto in regola agli occhi di tutti.
Io ti ho dato questo quindi tu mi devi quello.
Abominio.
Mah. Sarò davvero io quella strana.


sabato 17 ottobre 2009

.New Zealand i'm coming.

Io piaccio alle mamme, è risaputo. A tutte le mamme dei miei ex, io sono piaciuta subito, adottata come nuora e figlia mancata nell'immediato. Non c'è singola quasi futura suocera che, prima o dopo, non abbia ceduto alla tentazione di mostrarmi, orgogliosa e coi lucciconi agli occhi, i gioielli di famiglia con quella tipica espressione sul viso alla "figliuola, se ti accatti a mio figlio, forse un giorno tutto questo sarà tuo". Ma anche più in generale, alle mamme degli altri, soprattutto a quelle dei miei amici maschi, io piaccio. Non ci si spiega ancora bene come sia possibile, ma è così.
Sarà quella consistenza tipo marshmallows che assumo in loro presenza, il sorridere spesso, l'essere inevitabilmente goffa e impacciata o l'usare il tono di voce più basso che possiedo? Sarà il fatto che di fronte alla mamma di qualcun altro tutte le parole difficili che conosco si infilano al posto giusto nelle frasi e fanno capolino al momento opportuno? Sarà che dò del lei a prescindere, chiedo permesso e mi lavo sempre le mani prima di mangiare?
Onestamente, non lo so. Sta di fatto che ho quest'ascendente inutile.
Ieri sera sono stata a cena a casa di Nicola, che è tornato i primi del mese dalla Grecia e il ventitre riparte per la Nuova Zelanda. Starà via un anno, forse di più. Doveva partire con la sua ragazza, ma si è ritrovato single al suo ritorno in Italia. Parte lo stesso perchè "il biglietto l'ho già fatto e poi, che cazzo, vado in Nuova Zelanda!". Come dargli torto?
Nicola ha un anno in meno di me, ci conosciamo dalle superiori, ma l'abissale differenza tra me e lui sta nel fatto che lui il diploma l'ha preso e in questi anni si è viaggiato il mondo: Cina, Russia, Siberia, Polonia, Bulgaria, Austria, Inghilterra, Francia, Grecia e adesso, prossima meta, Oceania.
Ci sentiamo spesso via internet, mi assicuro almeno che sia ancora vivo, ma non appena passa qualche giorno in Italia cerchiamo di vederci il più possibile. Nicola è forse l'unico bravo ragazzo rimasto sulla faccia della terra: è stato boyscout, viaggia prevalentemente (e preferibilmente) in autostop ed è carico di un entusiasmo che raramente si riesce a trovare nelle persone al giorno d'oggi.
La prima volta che mi ha rivolto la parola, a momenti lo incenerisco con lo sguardo: aspettavo il treno per tornare a casa seduta su una panchina della stazione di Gallarate e lui mi si è avvicinato dicendo qualche stronzata a voce alta. Poi, una volta sul treno, mi si è seduto di fronte senza chiedere e, tanto per farsi dare un secondo parere, mi ha praticamente cantato un intero LP degli 883. Cantato a voce alta, col vagone pieno. Solo perchè "io credo di avere una bella voce, potrei fare il cantante, tu cosa ne pensi?". Inutile sottolineare che non ho avuto il tempo di rispondergli... Ho pensato "questo o sta più fuori di me o mi piglia per il culo", ma poi con il tempo ho capito che era proprio così, colmo di una spontaneità irrefrenabile. E oggi sono felice di non averlo incenerito.
- Senti, ma riusciamo a vederci prima della megafesta che hai organizzato il 22, Nico?
- Sì, se vuoi puoi passare da me per cena e poi magari usciamo a bere qualcosa, se ti va...
- Ok, per me va bene!
- Potrebbe esserci in casa anche mia madre: per te sarebbe un problema?
- No, assolutamente.
- Ok, allora a domani.
Non sono arrivata puntualissima, ma ho portato con me una bottiglia di vino e sono stata perdonata. Non era la prima volta che incontravo Patrizia, ma era la prima volta che avrei dovuto passarci del tempo face to face e scambiarci più di qualche semplice parola di cortesia. E, anche se già le mie esperienze passate, nonchè una piccola confidenza fattami da Nicola all'indomani del mio primo incontro con sua madre in cui mi diceva che le ero piaciuta, di sicuro non mi aspettavo di sentirmi dire tanto schiettamente a metà cena:
- Valentina, ti devo dire una cosa: sei davvero una ragazza bellissima.
Ora, questo non è vero. Ma a prescindere da questa cosa, io ho un grave problema con i complimenti: mi imbarazzano e reagisco male. Sono riuscita miracolosamente a dire grazie, mi sono sistemata gli occhiali e ho preso un po' di pomodori, così, tanto per fare tinta unita con le mie guance. E, anche se quasi nessuno se ne è accorto, sono esplosa come un pop corn in un microonde. PUFF! Avrei voluto infilarmi sotto il tavolo e sparire tra le fughe delle piastrelle. Nicola mi ha guardata e ha sorriso. Io ho tenuto gli occhi incollati alla mia cotoletta. Poi ho bevuto un bicchiere di vino rosso e ho cercato di dimenticarmi dell'accaduto.
Il resto della cena e della sera è proseguito con tanto piacere da farci passare la voglia di uscire. E ora, lo so: di venerdì sera, da due scalmanati ventenni, ci si aspettano racconti di alcool e scorribande. Ma in realtà, vi devo deludere: abbiamo passato la sera a giocare a Scarabeo a casa con la mamma. E ci siamo pure divertiti. Sì, sono decisamente una felicissima sfigata.
In tarda serata, ci hanno raggiunti anche sua sorella Luna con una sua amica cilena, direttamente da Barcellona. Quindi abbiamo passato le ore successive in un miscuglio di chiacchiere italoispanicoinglesi corredate da una caldissima tisana alla camomilla e semi di finocchio.
Lo so, lo so: nessuno di sentirebbe esaltato da una serata del genere, ma io sono stata davvero bene, serena come non mi sentivo da mesi e a mio perfetto agio. E ho sentito di nuovo bussare alle mie orecchie la vecchia idea di lasciare tutto e partire.
- Sai, Vale, tu sei una delle pochissime persone con cui mi trovo bene a stare in famiglia...
- Oh, grazie... anche io sono stata molto bene.
- Allora che fai? Vieni?
- Eh, dove?
- In Nuova Zelanda. Facciamo così: io parto, dovrei venire assunto nell'arco del primo mese in una delle vigne di cui ti ho parlato, tu intanto ti fai il passaporto e sistemi tutto quello che hai da sistemare e tra sei mesi mi raggiungi.
Eh, sì, come no: ciao, ci vediamo tra sei mesi. Magari se sono di passaggio, una sera, dopo il lavoro, faccio un salto da te in Nuova Zelanda per un caffè. Ma torno a casa presto, che poi la mattina ho la sveglia all'alba...
- Nico, non è così semplice...
- Ok, ok, lo so. Ma tu pensaci su. Ci vediamo prima di giovedì, eh, ci vuole un'altra cena.
Buonanotte a te, buonanotte a me. Ci sentiamo nei prossimi giorni, ciaociao.
La Nuova Zelanda. Ma anche l'intero mondo. Che fare?




P.S.
Quella nella foto, non sono io.

martedì 13 ottobre 2009

.Sparanoia.

Stamattina mi sono svegliata. Lo so: niente di strano in questo. Mi sveglio quasi tutte le mattine, almeno quelle in cui lavoro. Altrimenti opto per alzarmi direttamente nel primo pomeriggio. In fondo, è già stagione di letargo qui.
Il gatto mi aspettava già pronto in pole position di fronte alla ciotola, che ho riempito ad occhi chiusi con un gesto automatico. Struscino e fusa riconoscenti di rito. Cambio dell'acqua e aggiunta di succulenti croccantini alla ciotola del cane. Leccatina e scodinzolamenti di rito. Ci sono volte in cui mi convinco d'essere considerata come un utile animale domestico.
Pipì, lavarsi la faccia e altre zone del corpo col metodo random, vestirsi. Smozzicare una brioche, prendere il BeTotal Plus, che ho scoperto farmi più effetto del caffè ed essere, per ovvi motivi, estremamente più pratico, accendere e spegnere la tv non appena appare la prima immagine. No, non ce la faccio proprio.
Radio. Khhhvvhhhrrrrhhhuuusssììnacosagggrraanndepeemmmeeee... rivedo mio nonno che canta per mia nonna appoggiato allo stipite della porta della cucina mentre lei gli prepara il caffè. Spengo la radio: i ricordi malinconici di prima mattina non sono tollerabili.
Prendo in mano la chitarra, attento a un paio di cromatismi, maledico bonariamente l'amico Peppe che me li ha spiegati e raccomandati, mi convinco sempre di più che devo decidermi a comprare un violoncello. Impugno la chitarra come un violoncello, proseguo nei cromatismi. Mando a cacare la chitarra.
Pennelli, proviamo a proseguire con l'ultimo quadro in atto. Ho finito il rosso. Disastro, mi serviva. E' finito anche il blu. Sono finita io, praticamente ho finito i colori: niente colori primari, niente colori in generale.
Insomma, stamattina mi sono svegliata e ho capito subito che era una giornata di merda. Tanto più che dovevo uscire e andare a pagare l'assicurazione che, per quanto bassa, incide non poco sul mio già di per sé scarso introito mensile.
Così ho preso l'auto e mi sono sparata da brava tutti i chilometri che mi separavano dall'ufficio del mio assicuratore. Ma, ecco la folgorazione: mentre sono ferma ad un semaforo lungo il percorso, l'occhio mi cade su una vetrina tirata a lucido.
- Tò - penso - finalmente hanno affittato.
Una macelleria equina. Araba.
- Bene! - penso ancora - Viva l'integrazione! Qui, nel cuore della Padania, era ora che...
Mentre formulo questo pensiero, mentre esulto un tantino, mentre sono sull'onda del "siamo tutti clandestini", mentre i miei occhietti vispi scivolano sui caratteri arabeggianti incomprensibili, ecco comparire una gigantografia di quella che al momento poteva sembrare una foto dell'arena di Verona durante un concerto, invece no: aguzzo bene la vista e mi capacito che nella metà inferiore della vetrina campeggia un poster de La Mecca, traboccante di fedeli al chiar di luna. Strabuzzo gli occhi: subito sotto, un librone d'oro aperto su una non meglio precisata pagina che esprime non meglio precisati concetti, non in italiano almeno. Il Corano. In una teca di vetro, manco fosse la testa di Nefertiti al Cairo.
Nella manciata di secondi che mi separano dal semaforo verde, nella mia testa si mischiano, come in un frullatore impazzito, centinaia di pensieri ed immagini: Bin Laden, le torri gemelle, il pentagono, le lapidazioni, le impiccagioni, l'infibulazione, il burqa, lo chador/hijab, la danza del ventre, i magrebini, la guerra, l'America, il petrolio, l'Iraq, l'Iran, l'Afghanistan, tutti gli altri paesi che finiscono in an, buona parte dell'India, svariati paesi dell'Africa, il terrorismo, Bush, Blair, Aznar, Berlusconi, la Madonnina del Duomo di Milano, gli attentati, la caserma di Santa Barbara a Milano, Londra, Madrid, i Mujaheddin, i Muezzin, l'Onu, la ricerca sul Marocco che ho fatto per la tesina agli esami di terza media, quel tunisino che voleva dare a mio padre un gregge di pecore uno di capre e novantanove cammelli per portarmi in un kibbutz, gli aiuti umanitari, le missioni di pace, Arafat, la Palestina, le bombe, gli integralisti, i capitalisti, i diamanti di sangue, i bambini che muoiono di fame, i bambini soldato, le peggio malattie, le vacanze a Sharm el Sheikh, Jovanotti che canta con Ligabue e Piero Pelù "Il mio nome è Maipiù", lo Yemen, il mio amico soldato che sta nell'aeronautica in missione, Saddam Hussein, le moschee, Viale Jenner, l'Islam, il kebab, il kaftano, gli ottomani, mammaliturchi, le crociate, Maometto, i musulmani, Calderoli, le dittature, il pizzaiolo tunisino che mi continua a ripetere quanto gli ricordo sua figlia che è sposata e vive in Marocco, l'immigrazione clandestina, gli sbarcati, Messina, i carri armati, i bombardamenti, la striscia di Gaza, Israele, Hitler, il ragazzo egiziano che due anni fa al mare ci ha provato prima con mia cugina e poi con me, i campi di concentramento, i kamikaze, le guerre sante, mio nonno che ventitre anni fa disse a mia madre di non chiamarmi Miriam perchè chissà cosa combinano zittizitti giù di là che un domani ti sale su un aereo e solo perchè ha un nome così te la fan fuori, i martiri, Hina, Sanaa, tutte le altre, sangue sangue sangue, la paura, l'orrore, la paranoia.
Cerco di richiudere la bocca e di scorgere qualche figura umana dietro al vetro: all'interno della macelleria, un ragazzo, che avrà al massimo vent'anni, mi osserva immobile. Ha il sorriso inebetito e lo sguardo perso nella mia scollatura troppo generosa. Solleva gli occhi e continua a sorridermi, mentre mi domando se trova il mio trucco troppo sfacciato per la sua cultura. Non c'è traccia di rimprovero nei suoi occhi, solo un tasso ormonale troppo alto e una leggera percentuale piacionica nell'atteggiamento.
Il semaforo diventa verde e io mi dimentico di tutto. Gli offro mezzo sorriso, giusto perchè i nostri sguardi si sono incrociati per un attimo. Solleva la mano in un accenno di saluto, quasi sorpreso e intimidito. Alla fine, è un uomo anche lui.


giovedì 8 ottobre 2009

.Io non uso il dado.

L'altra sera sono andata al cinema. Da sola. Senza soldi e senza compagnia. D'altronde, si vive una volta. Sola. Appunto.
Sono andata a vedermi "Whatever Works": BELLO! Chi non l'ha visto, corra subito a farlo. Woody è un genio e io l'ho sempre amato. Non potevo perdermelo, così ho optato per il faidatè.
Quando sono arrivata di fronte al cinema ho pensato:
- Cazzo, ho solo nove euro... quanto costerà un biglietto per vedere un film in uno sfigato cinema di periferia? Ok, niente panico: se il prezzo è troppo salato, sorrido, glisso dicendo che "ops devo andare a prelevare" e mi dileguo, che il 15 del mese è ancora lontano...
Costava cinque euri. Mui bien. Poltroncine imbottite in velluto azzurro, mui bien. Color verdino alle pareti (di quel verdino che ormai è stato proibito anche nelle scuole e negli ospedali) e soffitto piastrellato color blu. Non molto bien, ma in fondo chissene. Platea piccola, ma confortevole e qualche posto a sedere anche in galleria. Molto mui bien. Schermo montato storto, praticamente un rullo di carta. E vabbè, per cinque euri!
Il film è spettacolare. A parte il fatto che in quasi tutte le scene si vede il microfono. E un po' mi ricorda parte della mia vita... eeeh, che nostalgica!
Tra l'altro ho scoperto di avere almeno tre cose in comune con Boris:

1) Mi sveglio nel cuore della notte gridando "ah! l'orrore!" o anche "sto per morire! non oggi, ma un giorno morirò!".
2) In una scena del film indossa un paio di pantaloncini identici, giuro, identici ai miei. Il che è meraviglioso!*
3) Sono paranoica e tendo a razionalizzare tutto, ma quando mi accorgo di aver fatto tutto quello che ho fatto solo per essere fedele alla logica e rassicurante razionalità, mi pento, mi spavento e tento il suicidio gettandomi dalla finestra. Abbastanza periodicamente. Anche questo, in fondo, è meraviglioso: qualcuno mi capisce/interpreta/pensa possa esistere una persona simile a me.

E c'è una cosa che, dall'altra sera in poi, farò ogni giorno, più volte al giorno, presumibilmente per il resto dei miei giorni: cantare due volte "Tanti auguri a te" mentre mi lavo le mani. Questa cosa la potete capire solo se avete visto il film, ma non importa... Comunque sono stata mui feliz, a parte per quella schiera di donnette che mi si è piazzata alle spalle e ha continuato a parlottare di tutto per l'intera durata della proiezione. Tipo: di fronte avevo "Basta che funzioni" e dietro "I dialoghi delle vagine". Qualcosa del genere.
Questa lunga e logorroica premessa per dire, non solo che sono davvero cuntenta e soddisfatta di aver visto W.W., ma anche che il giorno dopo ero così contenta da essere addirittura di buon umore. E commettere, per questo motivo, un grave errore.
- Vale, oggi devi andare a Varese per comprare la corda della chitarra, vero?
Questa è mia madre. Quando mia madre mi chiede dove vado e cosa faccio o comunque in una domanda ci infila un vero?, significa che vuole qualcosa. In un'altra occasione, ben sapendolo, mi sarei messa sulla difensiva e mi sarei mantenuta sul vago con un classico "mmm, non lo so, forse ho cambiato idea". Ma ieri ero contenta, eh.
- Sì, perchè?
- Perchè papà va a Varese a fare un po' di spesa, magari potevate andare insieme...
In un'altra occasione, avrei detto no. Anzi, non avrei nemmeno avuto bisogno di dire no, perchè non ci saremmo neanche arrivate a questo punto. E invece...
- Ah, ok.
Ah, ok? Ah, ok?! Tanto voleva che mi sparassi in bocca!
Mio padre, lo giuro, è una brava persona. Se vi capitasse di conoscerlo, forse vi starebbe anche simpatico. Ma non andate mai, mai, mai, mai e poi mai, ripeto mai, in un supermercato o in più supermercati con lui. Ha la sindrome del turista congenita, non c'è speranza di salvezza.
- Uh, hai visto questo? Uh, guarda quest'altro! E questo cos'è? Vuoi questo? Vuoi questa? Prendiamo questo? Uh, questo sì! Ah, questo proprio mi serve! Ehi, andiamo a vedere cosa c'è di là! Ooh, il reparto promozioni! Guarda, tutto a un euro! Ti serve una scorta di cento rotolini di scotch? Solo a novantanove centesimi, dai!
Fortunatamente non è contagiosa: io a fare la spesa ci metto al massimo, ma proprio esagerando, venti minuti netti. Lui può impiegarci anche l'intero turno di una commessa.
Fra l'altro, nonostante parta da casa con una fittissima lista della spesa, ci sono sempre innumerevoli, irrinunciabili extra. Cosa ancora più melodrammatica: i miei genitori fanno la spesa in 2 o 3 supermercati diversi "perchè solo lì troviamo esattamente la marca che cerchiamo".
Ora: io vivo di discount. Dal Penny Market al Tigros all'alterego tarocco del Tigros, il Panter, fino al mitico Dipiù e arrivando anche all'ormai superinflazionato Lidl, sono tutti miei. Loro, invece, passano da un GS a un Esselunga, da un Iper a un macellaio con una disinvoltura da lasciare sconvolti. Sono in due, fanno la spesa per cinque. Anche quando eravamo in tre, facevano la spesa per cinque. Non si accettano battute sulla quantità di cibo che mangio.
La verità è che loro seguono la teoria della scorta. Fanno scorta di tutto, come scoiattoli e con la stessa spasmodica rapidità. O forse deve venire la guerra e io sono l'unica che non lo sa. Lo scoprirò quando cadrà una bomba proprio di fianco a casa mia o quando, scendendo nella taverna dei miei, troverò sacchi di riso, di farina e di sabbia tutti da 25 kg, allora mi farò delle domande. Forse.
- Lo prendo, non si sa mai che serva... Così, se poi forse un giorno magari mi servirà, ce l'avrò.
Mah.
Il punto è: la mia presenza a cosa serviva? Perchè la genitrice mi ha subdolamente invitato ad accompagnare il genitore in questa gita fuoriporta cui potevo tranquillamente non partecipare?
Per la fretta. Erano le quattro ed entro le sette era d'obbligo passare prima dal medico e poi in farmacia. Io, secondo mia madre, ho il dono della fretta e riesco a trasmetterlo a mio padre quando ho il controllo del carrello. Cioè da quando avevo otto anni.
Ogni tanto mi rivedo questa scena di me bambina che spingo il carrello e guardo mio padre con malcelata impazienza, dicendo:
- Ma davvero questa cosa ti serve? Ne hai già tre a casa. Dai, andiamo che è tardi...
- Ma, uffa, dai!
Giuro. Ma uffa dai. Sì: la mia crescita è stata un percorso difficile.
La scena migliore, di fronte al magico mondo Star:
- Che dadi prendo?
Quelli truccati, che vinciamo sicuro.
- Non lo so, papà, io non uso il dado.
- Perchè?
- Non mi piace, preferisco le cose al naturale.
- Ma questo dado è naturale: è italiano, è sicuro.
- Sì, ok, vabbè. Ma a me non piace, non lo uso.
- Ma la mamma sì.
- Sì, lo so. Sono trent'anni che compra il dado classico. Prendiglielo classico.
- Ma magari per variare, non so... tu quale prenderesti?
- No, io non prenderei proprio il dado. Prendile il solito.
- Però le cose che fa mamma sono buone.
- Sì, ma che c'entra?
- Eh, ma le mangi anche tu.
- Sì, ma cosa c'entra?
- Eh, perchè tu dici che non lo usi, però ti piace!
- Ma no, è che se cucini una cosa io mica posso sapere cosa c'è dentro.
- L'hai sempre mangiato...
- Sì, ma mica crudo a tipo stuzzichino! Fai una cosa, la mangio, fine. Io, per me, a casa mia, non lo uso.
- Eh, ma perchè, che ti abbiamo cresciuto e l'abbiamo sempre usato?
AAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHH!!!
- Papà, prendiglielo classico e finiamola qui. Ti aspetto in cassa.
- Come vuoi... - cinque passi contati - Vale?
- Eh?
- Ne vuoi anche tu una scatola? E' in offerta...
- IO NON USO IL DADO!!!
La commessa voleva offrirmi la spesa honoris causa.
Insomma, tre ore di inferno, ma alla fine il mio dono ha avuto la meglio e abbiamo fatto tutto per tempo. Anche se ci ho rimesso la serenità, parte della salute mentale ritrovata con tanta fatica e le ciocche di capelli che mi coprivano le tempie. Mi si è anche cariato un dente. Ma tant'è. So' ragazzi, bisogna avere pazienza.

martedì 6 ottobre 2009

.BLAblaBLA di LuieLei 2.

...
- Cazzo, no, non ho intenzione di tradirti! - gli ripetè per l'ennesima volta; questa sua stupida paranoia la irritava.
- Perchè?
- Perchè non ne ho motivo!
La osservò per qualche istante, lo sguardo tra il perplesso e il poco convinto: lui, che aveva sempre vissuto tutto con tanta leggerezza, che raramente si era soffermato sulle conseguenze e sui motivi delle proprie azioni, si ritrovò momentaneamente disarmato dalla semplicità e dalla franchezza della sua risposta.
- I motivi si trovano e spesso non servono - concluse infine.
- Ma che cosa...?! Senti, questo discorso non ha senso: sei stato tu a chiedermi se mi piaceva.
- E tu hai detto sì: avresti anche potuto mentire, per una buona volta.
- Ma perchè? Per la miseria! Io ti reputo un uomo intelligente, ti rispetto e sono sincera. Penso che tu sia in grado di comprendere la verità, cosa c'è di così sbagliato?
- Potevi mentire, potevi proteggermi: così mi fai sentire minacciato.
- Ma minacciato da chi, da cosa? Chi ti mente non ti protegge, chi ti mente ti sottovaluta!
Un altro rapido corto circuito nella sua testa: quella donna lo sfiniva con tutte le piccole grandi verità che le uscivano di continuo dalla bocca; non ci era abituato.
- Mi è passata la voglia di uscire, sono stanco.
Lei si portò le mani agli occhi e si abbandonò sul divano, la gonna le ricadde sulle caviglie come i petali di un fiore che appassisce troppo in fretta. Dalla porta socchiusa del bagno, le arrivò alle orecchie lo scroscio della doccia aperta.
Quell'uomo la faceva diventare matta, sempre pronto a complicare le cose più semplici e sempre così repentino nel cambiare idea. Eppure le piaceva. Temeva che le piacesse persino questa sua volubilità, il suo essere sempre così fedele alla sua natura e a ciò che sentiva esattamente. Temeva che le piacesse il suo essere perennemente libero, libero di fare tutto ciò che gli passava per la testa, incurante del resto. Temeva che le piacesse la certezza di sapere che, così come ogni suo mutamento negativo era spietatamente sincero, così lo erano le cose positive: ogni bacio, ogni carezza, ogni frase. Temeva di saper apprezzare il valore di ogni suo singolo gesto e di ogni sua singola parola, semplicemente per ciò che erano. Temeva che le piacesse la totale instabilità, il suo continuo andirivieni e il senso di sorpresa e debolezza che ogni volta, anche quando se lo aspettava, sapeva suscitarle. Temeva che le piacesse persino quella mezza faccia da stronzo, col sorriso a metà, che faceva ogni volta che stava per mentire. O quell'espressione da trota al cartoccio che faceva quando la osservava pensando di non essere visto. Il modo il cui il suo viso si illuminava quando sorrideva o l'entusiasmo che metteva nel proporle di fare qualcosa insieme. Temeva che le piacessero il suo genio e la sua sregolatezza. Temeva che le piacesse.
Raccolse le sue cose e se ne andò in silenzio.



N.B.
Questo blog prende spunto dalla realtà, però travisa.

lunedì 5 ottobre 2009

.Smile.

La prima Signora, quella col cappellino, è un idolo. :)



sabato 3 ottobre 2009

.Succede che.

Succede che ieri sera, mentre torno da casa di amici, dopo aver fatto trenta minuti di macchina, a 500 metri da casa, con l'assicurazione scaduta dal 28, a momenti investo un ragazzino in motorino. E non è per l'assicurazione. Non è nemmeno per i trenta minuti di macchina e neppure per l'ora tarda o per il fatto che non avrei dormito per tutta la notte.
E' che questo puntino rosso luminoso, questo stop nascosto dalla seicento che mi stava davanti, ha frenato bruscamente per far passare la macchina che gli stava dietro e poi, con altrettanta nonchalance, ha sterzato verso sinistra fermandosi giusto in mezzo alla corsia.
Ora, è risaputo che io in macchina ho il piede "pesante", va bene. E anche che dovrei rifare i freni, che quando schiaccio il pedale partono certi fischi che manco allo stadio. Però, minchia, in mezzo alla corsia!
Mi ha sgranato questi due occhioni da cerbiatto impaurito, che coi fari che gli ho piazzato in faccia sembravano enormi, l'ho maledetto con un porcodio scandito bene, che purtroppo si è infranto contro il finestrino chiuso della macchina (che qua fa già freddo la sera, oh) e ho notato che aveva la pelle proprio da bebè: non un filo di barba, liscia, non una rughettina, forse qualche brufolo ma niente di più. Eh, il cazzo, mica ho avuto il tempo di tirare fuori la mia anima da estetista in quel frangente.
Un ragazzino. Spaventato a morte. A momenti lo ammazzo, non ci posso pensare. Nel senso, anche dopo averlo evitato, lo volevo proprio ammazzare con le mie mani. E il cielo ha voluto che avessi i riflessi pronti nonostante la giornatina che avevo passato e che non avessi bevuto nemmeno una goccia di alcoooool.
E' sparito nella notte, ingoiato da una stradina laterale. Poteva essere mio cugino piccolo, mio fratello minore, il figlio di una delle mie amiche. Sono tornata a casa con le interiora sottosopra. Non è la prima volta che mi capita di rischiare un incidente, magari con qualche ciclista spompo o qualche pedone depresso che tenta il suicidio nei giorni feriali. Ma non mi era mai capitato con una personcina così giovane: tutto un altro, pessimo effetto. Sono arrivata a casa e mi sono dovuta lavare la faccia due o tre volte, tenere i polsi sotto l'acqua gelata, avevo anche un po' di nausea.
Mi sono fatta una tisana calda, ho acceso la TV, ma ho tenuto il volume al minimo. Stato catatonico. Mi sono ripresa solo quando sullo schermo sono apparsi Petrosyan e Askerov. A proposito: bel match. C'è stato un frangente in cui ho provato tim0re, ho pensato: è un buon incassatore, lo sta sfiancando, tra poco lo abbatte. Invece no, è andato giù di schianto. Bel match. Mi ha fatto venire nostalgia del mio allenatore, il mio Maestro, mi ha fatto venire nostalgia del combattimento.
- Convinciti che non senti alcun dolore, è solo psicologico, è solo paura di perdere: rispetta il tuo avversario e combatti senza paura, avrai già vinto.
Il mio Maestro! T_T ...mi manca, Dio quanto mi manca il mio sport!
- Tieni la guardia alta, porta bene quei colpi! Vuoi romperti i polsi? Devi caricare i colpi con tutta la spalla, con tutto il corpo! Cos'era quello? Vuoi spezzarti una caviglia? Inclina il bacino, non cadi! E se cadi ti fai meno male che a prenderle!
Dovevo scendere dalla macchina, levargli il casco e prenderlo a ceffoni.
- Ti sei spaventato, sì? Non abbastanza: mo ti faccio conoscere la paura, vieni un po' qui! Che la prossima volta che fai tardi per limonare dieci minuti in più con la tua patanella di turno, io t'aspetto per vedere se con sto cazzo di motorino vai a passo d'uomo, e' capì? Strunz!
Mammamia, i capelli bianchi mi ha fatto venire. Ho perso dieci anni di vita in un soffio. Che qui già si galoppa verso l'adultità spinta, mica cazzabubbole. Sìsì, qui si invecchia a vista d'occhio, altro che no. Mo mi voglio pure mettere a fare la morale agli adolescemi. Oltre a criticarli quando mi trovo con quella cara amica mia e ci pigliamo il tè coi biscotti come due vecchiette, parliamo male delle nuove generazioni "che noi almeno ci siam salvati, non eravamo mica così!" e sgraniamo gli occhi di fronte alle vetrine dei negozi "ggiovani&trendi". E poi qua la gente inizia a invitarci ai matrimoni, ma com'è? Bomboniere di battesimi che affollano le mensole, mah!
Sta a vedere che qua, niente niente, poi s'aspettano qualcosa anche da noi? Sta a vedere che mo quel nostro amico libertino, tomotomo cacchiocacchio, va a convivere pure lui e mette la testa a posto? Sta a vedere che qui, zittizitti, quando si sale in ascensore coi bambini ti chiamano Signora? Sì, vabbè, già capitava, ma chi ci faceva caso? Sta a vedere che adesso la generazione in scadenza siamo noi.
Eh, lo dico da un pezzo io: sto stagionando, come il gorgonzola; darò il meglio di me quando caccerò i vermi.